2600 anni fa, nella lontana e civile Cina, un sapiente filosofo,
lì ancora oggi molto attuale, Confucio, fondò la pace
sociale, la morale pubblica e privata e l’armonia tra le
componenti e le etnie dello Stato su di un sistema di valori rigorosamente
umani, senza ricorso a metafore metafisiche o a
mediazioni di presunte divinità. I termini assiologici in gioco
erano: il valore dei sentimenti, l’amore per la conoscenza, il
rispetto per gli anziani e l’esempio che da essi deve provenire, e
quindi per i genitori, maestri, giudici, generali, amministratori
dello Stato fino all’imperatore. Un unico, saggio sistema universale
di valori etici e laici per conservare una comunità statale su
basi di solidarietà, gerarchia morale, valore dell’esempio ed
armonia tra l’uomo, gli uomini e la natura, per un comune e
salvifico senso dello Stato e della comunità.
Detto questo, non posso non operare un confronto puramente
pragmatico con la nostra equivoca anomalia italiana, che pendola
artatamente tra i nostri due secolari padroni: lo Stato legittimo
che esprime tutti noi ed i vertici invadenti ed esigenti di una
comunità clericale facente capo al Vaticano, che non ha ancora
saputo metabolizzare il nostro Risorgimento, Porta Pia e il senso
dello Stato nazionale italiano. E soltanto a causa di un’Italia eterna
serva di questi due padroni, abbiamo potuto assistere a sconcertanti
episodi di “tradimento” dell’etica dello Stato sovrano;
quando, per esempio, in occasione del referendum sulle cellule
staminali, abbiamo sentito in TV i due più celebrati e potenti
uomini politici del dopoguerra, Andreotti e Cossiga, dire pubblicamente
- vado a memoria - che si “inchinavano” o si “conformavano”
alla “disposizione data dal cardinale Ruini”, consistente
nell’antidemocratico stratagemma dello stesso Ruini di non
votare e non far votare, al fine di fare così fallire il referendum
costituzionale e la conseguente volontà popolare.
È evidente che i due potenti politici democristiani avrebbero
comunque potuto votare come volevano, ma il timore di una
dipendenza da poteri terzi affiora nel loro annunciarlo pubblicamente
in TV e sui media, in quei termini di vassallaggio al potere
della CEI, in un momento elettoralmente determinante. Trovo
grave che fossero proprio loro, già grandi servitori dello Stato
(solo dello Stato?), anzi statisti, nelle cui mani avevamo messo a
suo tempo, e con fiducia e speranza, i destini del Paese. E qui
vorrei essere chiaro: non stiamo parlando di un episodio legato
alla “religione”, e cioè ai temi di spiritualità, catarsi, ascesi o
magari di immortalità dell’anima, ma ad una pura manifestazione
di “potere”: potere di influenzare e manipolare le masse, e con
ciò la vita democratica ed un verdetto popolare. Insomma, pura
strategia del potere contrabbandata per religione.
Un altro episodio che farebbe inorridire Francia o USA o qualsiasi
altro Stato conscio della propria dignità e indipendenza,
sta, forse non tutti lo sanno, nella telefonata che l’attuale papa
Ratzinger ha fatto personalmente al ministro della Giustizia in
carica nel precedente governo della Repubblica Italiana presieduto
da Prodi, l’on. Mastella, per complimentarsi con lui per
avere intransigentemente osteggiato e contrastato il proprio
premier in Consiglio dei ministri in occasione della discussione
dei DICO, questione politicamente tutta italiana e strettamente
nazionale all’interno del governo costituzionale della
Repubblica. Incredibile? Sì, incredibile (ma lo ha raccontato lo
stesso Mastella al Corriere della Sera). Però rimane l’invadenza
e forse anche lo schiaffo alle nostre libere istituzioni rappresentato
da questo inconcepibile episodio. A parti invertite: ce lo
possiamo immaginare, noi, il nostro presidente della Repubblica
Napolitano che telefona al segretario di Stato vaticano per complimentarsi
della sua opposizione e contrasto ad una disposizione
del papa? Francamente ritengo che in un’eventualità del
genere gli Italiani penserebbero di trovarsi di fronte ad un episodio
di carattere psicopatologico, prima ancora che diplomatico.
Cosa dire, da cittadino e non da suddito, di questa Italia che
sembra essere trattata come un mediocre feudo neoguelfo del
Rinascimento? Ne sono angosciato, e posso solo tristemente
condividere, vergognandomene, quanto in una certa circostanza
disse il generale de Gaulle, che di senso dello Stato e di senso
della Storia se ne intendeva davvero: “L’Italia non è un paese
povero, ma un povero paese”.