gli editoriali di paolo bancale

da Confucio a de Gaulle: cittadini e sudditi nel feudo guelfo

2600 anni fa, nella lontana e civile Cina, un sapiente filosofo, lì ancora oggi molto attuale, Confucio, fondò la pace sociale, la morale pubblica e privata e l’armonia tra le componenti e le etnie dello Stato su di un sistema di valori rigorosamente umani, senza ricorso a metafore metafisiche o a mediazioni di presunte divinità. I termini assiologici in gioco erano: il valore dei sentimenti, l’amore per la conoscenza, il rispetto per gli anziani e l’esempio che da essi deve provenire, e quindi per i genitori, maestri, giudici, generali, amministratori dello Stato fino all’imperatore. Un unico, saggio sistema universale di valori etici e laici per conservare una comunità statale su basi di solidarietà, gerarchia morale, valore dell’esempio ed armonia tra l’uomo, gli uomini e la natura, per un comune e salvifico senso dello Stato e della comunità.

Detto questo, non posso non operare un confronto puramente pragmatico con la nostra equivoca anomalia italiana, che pendola artatamente tra i nostri due secolari padroni: lo Stato legittimo che esprime tutti noi ed i vertici invadenti ed esigenti di una comunità clericale facente capo al Vaticano, che non ha ancora saputo metabolizzare il nostro Risorgimento, Porta Pia e il senso dello Stato nazionale italiano. E soltanto a causa di un’Italia eterna serva di questi due padroni, abbiamo potuto assistere a sconcertanti episodi di “tradimento” dell’etica dello Stato sovrano; quando, per esempio, in occasione del referendum sulle cellule staminali, abbiamo sentito in TV i due più celebrati e potenti uomini politici del dopoguerra, Andreotti e Cossiga, dire pubblicamente - vado a memoria - che si “inchinavano” o si “conformavano” alla “disposizione data dal cardinale Ruini”, consistente nell’antidemocratico stratagemma dello stesso Ruini di non votare e non far votare, al fine di fare così fallire il referendum costituzionale e la conseguente volontà popolare.

È evidente che i due potenti politici democristiani avrebbero comunque potuto votare come volevano, ma il timore di una dipendenza da poteri terzi affiora nel loro annunciarlo pubblicamente in TV e sui media, in quei termini di vassallaggio al potere della CEI, in un momento elettoralmente determinante. Trovo grave che fossero proprio loro, già grandi servitori dello Stato (solo dello Stato?), anzi statisti, nelle cui mani avevamo messo a suo tempo, e con fiducia e speranza, i destini del Paese. E qui vorrei essere chiaro: non stiamo parlando di un episodio legato alla “religione”, e cioè ai temi di spiritualità, catarsi, ascesi o magari di immortalità dell’anima, ma ad una pura manifestazione di “potere”: potere di influenzare e manipolare le masse, e con ciò la vita democratica ed un verdetto popolare. Insomma, pura strategia del potere contrabbandata per religione.

Un altro episodio che farebbe inorridire Francia o USA o qualsiasi altro Stato conscio della propria dignità e indipendenza, sta, forse non tutti lo sanno, nella telefonata che l’attuale papa Ratzinger ha fatto personalmente al ministro della Giustizia in carica nel precedente governo della Repubblica Italiana presieduto da Prodi, l’on. Mastella, per complimentarsi con lui per avere intransigentemente osteggiato e contrastato il proprio premier in Consiglio dei ministri in occasione della discussione dei DICO, questione politicamente tutta italiana e strettamente nazionale all’interno del governo costituzionale della Repubblica. Incredibile? Sì, incredibile (ma lo ha raccontato lo stesso Mastella al Corriere della Sera). Però rimane l’invadenza e forse anche lo schiaffo alle nostre libere istituzioni rappresentato da questo inconcepibile episodio. A parti invertite: ce lo possiamo immaginare, noi, il nostro presidente della Repubblica Napolitano che telefona al segretario di Stato vaticano per complimentarsi della sua opposizione e contrasto ad una disposizione del papa? Francamente ritengo che in un’eventualità del genere gli Italiani penserebbero di trovarsi di fronte ad un episodio di carattere psicopatologico, prima ancora che diplomatico.

Cosa dire, da cittadino e non da suddito, di questa Italia che sembra essere trattata come un mediocre feudo neoguelfo del Rinascimento? Ne sono angosciato, e posso solo tristemente condividere, vergognandomene, quanto in una certa circostanza disse il generale de Gaulle, che di senso dello Stato e di senso della Storia se ne intendeva davvero: “L’Italia non è un paese povero, ma un povero paese”.