Dicono alcune sentenze e ambienti partigiani che il crocifisso sia consono a rappresentare
tutti gli italiani. Dicono anche che sia un simbolo neutro di cultura e di storia italiana;
dicono pure che il pensiero greco, che è ciò che ci rende “occidentali”, non lo sarebbe,
e neppure l’impronta romana che ha creato il perimetro europeo, il diritto e il senso dello
Stato. Insomma, tutto va in non cale tranne questo amabile visionario asiatico, ebreo di colore
della Palestina meritevole di grande rispetto, che viene effigiato sanguinante appeso ad una
croce, intesa quale mezzo di sofferenza estrema così come lo sono stati gli infiniti roghi successivamente
eretti in suo nome.
No: il crocifisso non è un simbolo neutro, così come di neutro non esiste nulla nel dominio
delle religioni, ove imperano rivalità, sopraffazione, libidine delle conversioni e tanta brama
di possesso. Questa è la loro storia, che fece dire a Freud: «Dove sono coinvolte questioni religiose
gli uomini si rendono colpevoli di ogni sorta di disonestà e di illecito intellettuale». Il
crocifisso simbolo neutro? Malafede, quanto potrebbe esserlo considerare in Germania la sanscrita
svastica vedica un semplice simbolo della mistica India, ovvero ritenere la falce e il martello
dei georgici simboli del pacifico mondo rurale nella Russia dei gulag.
Il crocifisso, nella storia del cattolicesimo, è sempre stato l’equivalente del labaro con l’aquila
di Roma piantato ovunque le sue legioni arrivavano, distruggevano, conquistavano; anche la
croce è stata ed è simbolo di conquista e di omologazione fideistica delle popolazioni: anche
questo dicono le tantissime, immense croci che in Italia e nelle ex colonie di potenze cattoliche
vediamo sovrastare le cime di colline e montagne a simboleggiare «qui siamo noi» (per
non parlare poi dell’isola di Pasqua dove, in omaggio al nome, ne hanno piantate tre altissime
per replicare teatralmente la scena del Golgota).
I simboli religiosi non sono e non saranno mai neutri: essi producono una reattività compulsiva
così come la “parola-stimolo”, dicono gli psichiatri, fa scattare il sintomo nevrotico o il
raptus psicotico. Valga un esempio incontrovertibile: dopo l’esperienza di Florence
Nightingale nella guerra di Crimea del 1854 sul soccorso ai feriti sul campo di battaglia, nel
1862 si riunirono a Ginevra quattro cittadini svizzeri: il giurista Moynier, il generale Dufour
e i medici Appia e Maunoir, per creare il Comitato ginevrino di soccorso dei militari feriti,
chiamato anche Comitato dei Cinque, che organizzò a Ginevra nel 1863 una conferenza internazionale
cui parteciparono 14 Paesi. Nacque così la Società Internazionale di Soccorso (la
futura Croce Rossa), che scelse come emblema, da mostrarsi in area di guerra in segno di neutralità
disarmata, la bandiera svizzera a colori invertiti in omaggio alla nazione dove il
Comitato è nato e viene ospitato, retto da soli cittadini svizzeri a simbolo della completa neutralità
e aconfessionalità dell’organizzazione. I fondatori tennero a specificare che la crocetta,
come un segno di “più” c’era soltanto perché c’è nella bandiera elvetica, escludendo tassativamente
qualsiasi anche mediato riferimento a simboli confessionali.
Scopo dell’organizzazione, come specifica lo statuto, è quello di «soccorrere senza discriminazione
di alcun genere i feriti dei campi di battaglia», missione volontaria, umanitaria e universale.
Che cosa ci può essere di più nobile? Ma, ahimé, è bastata quella
piccola crocetta simmetrica contenuta nella bandiera svizzera
perché popoli di religioni diverse non ne accettassero la validità
e la neutralità, neppure per missioni umanitarie. E così si
sono dovute creare successivamente la Mezzaluna rossa per i
paesi islamici, quindi il Sole rosso per la Persia di religione parsi
ed ultima la Stella di Davide rossa per Israele ebraico. La babele
religiosa è così completa, tanto che si è dovuto varare il nuovo
simbolo ufficiale internazionale, il Cristallo rosso approvato nel
2005. Il che sta a significare che laddove tra tutti i popoli del
pianeta non sono riusciti a creare disunione le radicali differenze
di lingua, scrittura, regime politico, potenza militare, tecnologie,
tradizioni, clima, orografia, ubicazione geografica, moneta,
colore della pelle, statura, alimentazione, abbigliamento, letteratura,
filosofia, musica e tutto quant’altro può venire in
mente; ebbene, quel che null’altro ha potuto è invece riuscito in
un istante ad un piccolo segno grafico interpretato, purtroppo,
in chiave di simbolo religioso.
E se tutto questo avveniva nell’ambito di missioni umanitarie e
di soccorso ai feriti, che cosa al mondo può mai far pensare che
non sia percepita come non equa, non neutra, provocatoria,
arrogante e discriminante l’esibizione velleitaria del simbolo
cattolico in tutti i luoghi pubblici italiani (tribunali, scuole,
caserme, uffici eccetera), là dove tutti i cittadini della nostra
Repubblica hanno il diritto di sentirsi tali, a prescindere da cultura,
religione, etnia, sesso e via dicendo, come recita la Carta
costituzionale? Siamo al politeismo dei valori alla Max Weber?
«Giorno verrà, presago e il cormel dice» recita Andromaca sulle
mura di Troia con quanto segue, e mi ci associo anch’io con la
speranza che un giorno, anche con l’impegno di NonCredo,
l’Italia sarà anch’essa una Repubblica laica a pieno titolo, in cui
diritti, doveri e rispetto saranno garantiti ed eguali per tutti. E
raccolgo anche quanto un grande spirito perseguitato dalle religioni,
l’olandese Baruch Spinoza, scriveva nel suo Trattato teologico-
politico: «L’esercizio del culto religioso e le forme esteriori
della pietà debbono tener conto delle esigenze della pace e dell’utilità
dello Stato».