gli editoriali di paolo bancale

il noncredente e la conoscenza

Sapere aude, ovvero “abbi il coraggio di cercare di sapere”, felice messaggio riferibile a Siddharta, Socrate, Kant e a tutto l’Illuminismo, vuole esaltare la forza del pensiero indagante e quella del dubbio metodologico, la scintilla anche romantica del “sapere” come conquista dell’Uomo contro l’ignavia della conservazione e la piatta entropica del dogma, la ricerca della prova logico- sperimentale contro fascinazioni fideistiche di (talvolta truffaldina) ultraterrenità. È una visione della vita che è esaltante per molti, ma per molti di più è ben scomoda, difficile, usurante.

I credenti di qualsiasi religione riposano sulla delega ad altri, tacita o espressa, circa la scelta della via e delle categorie etiche e cognitive da seguire nella propria vita. Può trattarsi di comoda fiducia nella malleveria altrui o di accidia intellettuale o di quietismo temperamentale, capaci di tacitare ansie e dubbi, ambizioni e curiosità. La ricerca del sapere viene sostituita con l’imparare testi indiscutibili ma edificanti: bibbie, corani, catechismi, rivelazioni ed esoterismi vari. Come l’animale in cattività baratta la perdita di libertà con vitto, alloggio e protezione dal predatore, così molti preferiscono abdicare alla libertà di pensiero e di eretica trasgressione con la beatificante, tranquillizzante, pacificante, moralmente suadente, comunitariamente aggregante, tradizionalmente rispettosa accettazione del “libro di testo” da imparare, accettare, osservare e non discutere.

E i noncredenti? A loro non è concesso questo alibi cognitivo, debbono arare loro stessi il territorio culturale che invocano; imparare è un verbo inconiugabile a vantaggio del capire, del porsi domande, dell’infrangere tabù. È il riscatto di sé come Uomo e non come mammifero. Ma è poi così? I credenti normalmente sanno assai poco dei recessi della loro dottrina e si contentano di pochi luoghi comuni identitari. Di nuovo: e i noncredenti? Ahimé, ve ne sono troppi cui basta dire di sé: sono ateo, sono agnostico, io non credo, le religioni sono stupidaggini, quando l’unica stupidaggine è contentarsi di definizioni vuote non suffragate da ricerca, dubbi, missione di sapere e fatica di tentare di capire. Apprezzo molto una frase del noncredente Cacciari: «chi non si è mai posto il problema di dio è uno che non pensa». È soltanto domandando a se stessi e cercandosi attorno che si arriva ad una consapevolezza responsabile della propria noncredenza.

Le pagine di NonCredo vorrebbero dare una mano a questo fine.