Sapere aude, ovvero “abbi il coraggio di cercare di sapere”, felice
messaggio riferibile a Siddharta, Socrate, Kant e a tutto
l’Illuminismo, vuole esaltare la forza del pensiero indagante e
quella del dubbio metodologico, la scintilla anche romantica del
“sapere” come conquista dell’Uomo contro l’ignavia della conservazione
e la piatta entropica del dogma, la ricerca della prova logico-
sperimentale contro fascinazioni fideistiche di (talvolta truffaldina)
ultraterrenità. È una visione della vita che è esaltante per
molti, ma per molti di più è ben scomoda, difficile, usurante.
I credenti di qualsiasi religione riposano sulla delega ad altri, tacita
o espressa, circa la scelta della via e delle categorie etiche e
cognitive da seguire nella propria vita. Può trattarsi di comoda
fiducia nella malleveria altrui o di accidia intellettuale o di quietismo
temperamentale, capaci di tacitare ansie e dubbi, ambizioni
e curiosità. La ricerca del sapere viene sostituita con l’imparare
testi indiscutibili ma edificanti: bibbie, corani, catechismi, rivelazioni
ed esoterismi vari. Come l’animale in cattività baratta la
perdita di libertà con vitto, alloggio e protezione dal predatore,
così molti preferiscono abdicare alla libertà di pensiero e di eretica
trasgressione con la beatificante, tranquillizzante, pacificante,
moralmente suadente, comunitariamente aggregante, tradizionalmente
rispettosa accettazione del “libro di testo” da imparare,
accettare, osservare e non discutere.
E i noncredenti? A loro non è concesso questo alibi cognitivo,
debbono arare loro stessi il territorio culturale che invocano;
imparare è un verbo inconiugabile a vantaggio del capire, del
porsi domande, dell’infrangere tabù. È il riscatto di sé come
Uomo e non come mammifero. Ma è poi così? I credenti normalmente
sanno assai poco dei recessi della loro dottrina e si contentano
di pochi luoghi comuni identitari. Di nuovo: e i noncredenti?
Ahimé, ve ne sono troppi cui basta dire di sé: sono ateo, sono
agnostico, io non credo, le religioni sono stupidaggini, quando
l’unica stupidaggine è contentarsi di definizioni vuote non suffragate
da ricerca, dubbi, missione di sapere e fatica di tentare di
capire. Apprezzo molto una frase del noncredente Cacciari: «chi
non si è mai posto il problema di dio è uno che non pensa». È soltanto
domandando a se stessi e cercandosi attorno che si arriva ad
una consapevolezza responsabile della propria noncredenza.
Le pagine di NonCredo vorrebbero dare una mano a questo fine.