Molti canali culturali internazionali registrano un avvertito bisogno
crescente di spiritualità nelle società contemporanee (e certamente
non stiamo parlando di New Age). Dopo il positivismo del
secolo XIX e il cinismo delle stragi dell’ultimo secolo, sembra che
l’Uomo riscopra il valore dell’etica dei sentimenti, dell’interiorità,
del superamento dell’Io, e li riscopra nella categoria della “necessità”.
È ciò che si chiama anche “spiritualità”, tout court.
In tale ottica è interessante notare l’esito del sondaggio che
l’Istituto Harris Interactive ha realizzato a livello internazionale
per la Radio TV francese, e poi trasmesso in tutto il mondo,
a riguardo del livello di condivisione e di accettazione da parte
dell’umanità contemporanea dei capi politici e spirituali mondiali
di oggi. Il massimo consenso è toccato ad Obama, condiviso
dal 77% degli intervistati, ma seguito quasi alla pari
(75%) dal monaco buddhista tibetano Dalai Lama, mentre il
capo mondiale dei cattolici, papa Ratzinger, si attesta a ben
meno della metà del Dalai Lama, con appena il 36% (quasi alla
pari con il 34% di Zapatero).
Come tentare di interpretare questi dati? Ci sembra equo far
parlare la stessa parte cattolica.
Uno dei più grandi teologi dello scorso secolo, nonché del
Concilio Vaticano II, l’autorevole cardinale gesuita francese
Henri de Lubac, nel tomo 21 della sua Opera Omnia (di quaranta
corposi volumi), intitolato Aspetti del Buddhismo, nella
prima pagina della prefazione scrive testualmente: «A parte il
Fatto unico, in cui noi adoriamo la traccia e la presenza stessa di
Dio, il buddhismo è senza dubbio l’evento spirituale più grande
della storia». E in che modo il buddhismo è spirituale? De
Lubac prosegue: «Il suo fondatore non ha solo voluto divenire
migliore o trovare la pace distaccandosi dal mondo, ma ha messo
mano all’impresa inaudita di travalicare i limiti dell’esistenza
umana pur rimanendovi dentro».
Va detto che la spiritualità è un “modo di essere” intrinseco,
misticamente esperienziale, totalmente interiore e de-egoizzato,
e non una “cultura” costruita dagli uomini, storica, in funzione
dei tempi e dei luoghi, dei rapporti di potere e di quello
vincente. In queste differenze si può tentare di interpretare
l’immenso divario di condivisione tra il Dalai Lama e il papare
di Roma del citato sondaggio. Se è vero che c’è nel mondo,
e per fortuna, una crescente domanda e bisogno di spiritualità,
il buddhismo ha una risposta da offrire, come ci ha riferito
l’autorevole teologo cattolico de Lubac. E il cattolicesimo?
In esso fin dalle origini, e ancor più oggi, traspare la “cultura
del corpo”, con il culto, l’imposizione, l’esaltazione della “corporeità”,
della fisicità, della materialità, che sono caratteri
anti-spirituali. Nel cattolicesimo tutto è corpo, nella sua più
materiale ed organica trivialità. È proprio l’anti-spiritualità. Il
cattolicesimo nasce sul corpo del fondatore enfatizzandone,
anche negli aspetti organolettici, la croce, i chiodi, le frustate,
le spine, la fatica della via crucis, la deposizione: tutto è centrato
sul corpo. La pretesa resurrezione è basata su una tomba
prima piena di un corpo, poi vuota di un corpo, e quindi un
corpo che lievita nell’aria; Gesù e Maria vengono raccontati
assunti in cielo col corpo, cioè con tutti i chili e i grammi, cellule,
atomi, molecole e quant’altro. E poi ci sono la resurrezione
dei corpi; l’ultima cena con pane e vino come cibi del corpo;
l’ostia è il corpo di Cristo; la Chiesa ne è il corpo mistico; le
divinità sono raffigurate e credute come un vecchio, un giovane,
un colombo, una donna, cioè corpi antropo- o terio-morfi.
Insomma corpo, corpo, e sempre corpo, fino a scomodare addirittura
imene e vagina per la corporeità della pretesa verginità
di una donna regolarmente incinta.
E poi il culto delle reliquie, cioè corpi, o peggio parti di corpi,
compresi sangui che bollono e mummie incartapecorite color
carbone; l’Inferno è fatto di fiamme che tormentano i corpi; le
chiese cattoliche sono organizzate come teatrini o mostre di statue,
dipinti, pupazzi, effigi e simulacri vari che mostrano corpi
(a differenza della loro totale assenza nelle chiese protestanti,
nelle sinagoghe ebraiche e nelle moschee islamiche); alcuni
sacramenti sono centrati sull’azione di liquidi, specie acqua o
olio, versati sul corpo del fedele; l’iconografia del fondatore
Gesù mostra l’immagine anatomica di un cuore espiantato con
tanto di vene e arterie, e quindi parti esposte di corpo. Anche la
tanto disattesa castità parla di corpo, il celibato fa riferimento a
funzioni corporee che, anche quando surrogate da atti di pedofilia,
riguardano sempre corpi; la ricchezza policroma dei pomposi
vestimenti e tiare e mitrie dell’opulento fasto vaticano sono
chiare espressioni di vanità a vantaggio dell’immagine di corpi
(la vanitas vanitatum del Qoelet, a differenza dell’umiltà dei sandali
e della povera tunica a braccio scoperto del Dalai Lama).
E cosa dire dell’uso tra maschi del baciare la mano, parte anche
sporca del corpo, offerta con sussiego e autogratificazione da
poco umili ecclesiasti che ne pretendono il rito? E finanche
nella triste e impietosa funzione della pena capitale il cattolicesimo,
dimenticando pietà, carità, misericordia preferì imporre la
crudelissima sofferenza del rogo affinché vi fosse la totale
distruzione col fuoco del corpo del reo. Anche l’ancora non
abbandonata pratica del cilicio esiste in funzione del corpo, lo
stesso corpo che si vuole necessariamente inumato nella sua
interezza materiale, a differenza di tanti altri culti e religioni.
Ma insomma, quand’è che si parlerà di psiche, interiorità, impalpabilità,
spirito, empatia, energia sottile, sentimenti, sublimazione,
dolore dell’anima, interconnessione nel Tutto, ricerca nel sé e
del sé, realtà sublimi che invece traboccano in ogni istante della
meditazione e della weltanschauung buddhiste? Ed allora ben
venga la ricerca di spiritualità, che può solo preludere ad un
mondo migliore, e non ci si meravigli se il capo del cattolicesimo
registra un consenso e un’adesione che sono meno della
metà di quelle concesse al povero ma spirituale monaco buddhista.
E non è male che si rifletta pure sul fatto che i cattolici nel
mondo sono (come lauto e ingiusto bottino della loro storia
colonialista) ben più di un miliardo contro una manciata di
milioni di buddhisti tibetani contabili sulle dita di una mano.
Ma allora, vertici di oltretevere, prendete atto che il vostro
stesso mondo, la vostra gente, i vostri forse non più troppo
“fedeli” seguaci, tutti vi mandano segni espliciti nella direzione
della richiesta di un vostro cambiamento, di un ritorno alle
origini umili, povere ma umane, di un abbandono di tanta ipocrita
quanto perseguìta politica di ricchezza, di potenza ed
arroganza. Come appare evidente dai dati del sondaggio, dove
il vostro papa, preteso re dell’ecumene, è percepito al livello di
un qualsiasi Zapatero, a meno della metà dei consensi dell’umile
monaco tibetano: sono proprio i vostri cattolici che nel
citato censimento vi hanno abbandonato preferendovi il leader
buddhista. Ci sarà pure un motivo alla base del loro cambio
di bandiera, e forse anche di paradigma.
Nell’interesse di tutti, azzimati vertici trans-Tiberim, vi auguriamo
di accorgervene.