gli editoriali di paolo bancale

nel confronto tra gli DÈI vince l’Islam

Il grande teologo dell’Islam Ismail al-Ash’ari (873-935 d.C.) così definisce il loro “unico dio”: «dio non è né corpo né persona, né sostanza, né accidente; egli è al di là del tempo, non può abitare in un luogo o in un essere, non è oggetto di nessuno degli attributi o delle qualificazioni naturali, non è né condizionato né determinato, non genera né è generato, è aldilà della percezione sensibile: gli occhi non lo vedono e lo sguardo non lo coglie, l’immaginazione non lo comprende ed egli è una cosa diversa da tutte le altre cose, è onnisciente e onnipotente ma la sua onniscienza e la sua onnipotenza non sono paragonabili a niente di creato».

La tensione spirituale e mistica in questa visione dell’Altro confligge in modo plateale con l’antropomorfismo sia del vecchio sia del nuovo Testamento, sia con Geova che ordina, gesticola, parla, si infuria, sia con il Gesù che fa altrettanto sotto lo sguardo della folla, come ci viene riproposto in migliaia di disegni, pitture, statue, oggetti di totemico culto.

Quando si parla dei tre monoteismi li si accomuna, ma ciò rappresenta un’operazione velleitariamente superficiale, poiché nell’ambito della tensione nobile e ineffabile del dio islamico, ignoto, aniconico, inesplorato, abiografico, come abbiamo letto, sarebbe assolutamente inconcepibile inserire e ammettere la presenza di un Paolo di Tarso che sentenzia, come ha fatto e viene ritenuto fondante (I Lettera ai Corinzi) una visione materialistica, corporea, fisiologica, anatomica, biologica e biografica del suo dio: «Se Cristo non è resuscitato vana è la nostra predicazione e vana la nostra fede».

Per decenza intellettuale nel mondo dei credenti lo Spirito non dovrebbe mai essere accomunabile al sangue di s. Gennaro, vale a dire alla mediocrità sciamanica e disarmantemente credula del concetto di “miracolo”. Se tutta una ipertrofica costruzione teologica quale quella cattolica, dovesse dipendere da un atto magico, ove il sangue di s. Gennaro o la resurrezione esprimono comunque la medesima tipologia di monstrum, miracolo, portento, prodigio, si può solo restare sconcertati da tanta ingenuità.

Se il pensiero umano sente il bisogno di spiritualità, e ben venga, per elevarsi al di sopra del razionale piano del “reale”, può sempre attingere con dignità all’arte, all’ascesi, alla meditazione, o all’apofatismo del bel testo riportato all’inizio di Ismail al-Ash’ari, lasciandoci condividere il filosofo Martin Heidegger quando esprime: «Di per sé dio non ha bisogno di alcuna teologia».