Chiunque creda in un dio si aspetta che i suoi problemi vengano
risolti da qualcun altro, umano o divino che sia. Il credente,
quindi, è colui che sente di non avere abbastanza forze per risolvere
i problemi da solo, o comunque è colui che è abituato ad
avere piena fiducia negli “interventi” esterni ed estranei a lui.
Tutto ciò non è proprio un tirocinio all’autosufficienza, quella
che unita alla consapevolezza di sé nutre il concetto di autostima.
Quando la pedagogia buddhista insegna che soltanto tu
stesso puoi risolvere i tuoi problemi, certamente è lontana da quel concetto così deviante
in ambito teista quale è quello di “provvidenza”.
Quando dal dio o totem o feticcio che sia passiamo alle religioni, il discorso si sposta
dall’astratta fantasia necessitata verso realtà dai rilevanti contenuti sociologici, psicologici
e, ci si augura, spirituali che comportano, questi ultimi, certamente il trascendimento
delle compulsioni dell’Io quale è, per esempio, la volontà di potenza che, a livello
collettivo, si chiama conversioni, proselitismo, missionarismo, ecumene. Quando Islam
e Cristianesimo esaltano se stessi a scapito delle altre religioni, quando le varie branche
del Cristianesimo, cattolici ed evangelici in testa, vanno a minare altrove le religioni
dei padri per piegarle al loro credo, penso a quell’affermazione del monaco Dalai Lama:
“La varietà degli individui impone antropologicamente la diversità delle credenze. Lo scopo della
religione è di giovare alla gente e se ne avessimo una sola dopo un po’ i suoi benefici cesserebbero.”
Espressione che suona come l’apoteosi della laicità e della tolleranza, ma che forse
in Vaticano verrà giudicata delirante.
Quando pensiamo alla soppressione cruenta del dissenso il pensiero va a Hitler, Stalin,
Ceacescu, Pol Pot eppure la lotta alla libertà di pensiero e di coscienza trova, nella storia
dell’uomo, espressione molto più massificata nelle religioni con le loro lotte all’eresia,
crociate di conversione, fatwa, sharia, scomuniche, autodafé. Massacri e
persecuzioni venivano giustificati con il bene del popolo, quindi con un codice etico,
ed allora cito di nuovo il monaco di prima quando asserisce: “Non credo affatto che l’etica
debba necessariamente essere radicata nei principi religiosi o nella fede”. Buon per lui che non
sia vissuto qualche secolo fa quando lo avrebbero bruciato vivo. E quindi il Dalai Lama
prosegue: “La storia ci insegna una verità scomoda: le istituzioni religiose e i loro seguaci, di
ogni tipo, hanno invariabilmente messo in atto uno sfruttamento del prossimo, e la fede è stata
usata anche come pretesto per scatenare guerre e legittimare l’oppressione”.
NonCredo lo afferma dal primo numero, così come ha sempre sottoscritto il pensiero
del premio Nobel appena scomparso Rita Levi Montalcini: “Vorrei un mondo che crede nei
valori etici e nella scienza”. Mondo in cui ovviamente non c’è posto per le religioni.