gli editoriali di paolo bancale

due papi, ma proprio santi?

Il termine “santità” esprime nel linguaggio della morale l’espressione più nobile ed estremamente rara dell’interiorità sublimata, della totale latenza dell’Io, dell’amore in termini di esclusivissima gratuità. Un ambito spirituale di cui ho esperienza, il buddhismo, la pone oltre il limite della somaticità e della fisicità, esprime l’essere umano che sa vedere solo l’altro, qualsiasi altro, con una compassione (cum pati) che non riesce neppure a concepire semanticamente il termine “mio”. Nel buddhismo il “santo” è colui che è agli antipodi di qualsiasi sia pur larvatissimo compiacimento di fronte al potenziale interesse che si possa manifestare per il “suo” buddhismo, cosa che rappresenterebbe, nella loro spiritualità, la traccia di un desiderio egoico che può solo “sporcare” l’incontro di due esseri. I termini hinayana arhat e mahayana bodhisattva esprimono il raggiungimento della santità così intesa. Ben altra cosa è invece essere buoni, molto più apprezzabilmente umana e che certamente ingentilisce la vita, ma, attenzione, come mille ciechi non fanno un sano, così mille buoni non fanno un santo.

Al riguardo il Cattolicesimo si sporca molto le mani di terra, la banale, utilitaristica e viscerale “terra”. Il santo è innanzi tutto qualcuno che ha giovato alla Causa (religiosa, politica, morale, espansionistica) dell’Organizzazione vista nella sua interezza con tutti i suoi umanissimi interessi. Il santo, se vogliamo, è persona di parte (pensiamo a Giovanna d’Arco): quali che possano essere degli eccezionali meriti di un non-cattolico o addirittura di un pagano, santo a Roma non lo fanno davvero, anzi “non esiste”.

Oltre ai meriti di parte su citati, poi, nel Cattolicesimo il santo deve essere anche un po’ “mago”, cioè gli si devono poter attribuire almeno due atti di magìa andati a buon fine, ovvero miracoli, ovvero eventi che vanno “contro” tutte le leggi fisiche, chimiche o biologiche esistenti in natura. Diciamo pure che come pretesa non è niente male, batte gli sciamani uno a zero!

In tale contesto, i due recenti papi fatti santi coniugano un concetto di santità tutta loro, che è soltanto da dimenticare. Uno è stato realmente un “buon pastore”, come si dice da quelle parti, e ha organizzato un buon Concilio. Sufficit? L’altro è stato un super-gerarca della sua ideologia cesaristica, che ha schiacciato come un serpe il bisogno di equità, giustizia e solidarietà di cui era interprete la “teologia della liberazione” e di chi la professava in un mondo di disperati e di dittatori appoggiati dalla chiesa cattolica. Santo anche lui? O magari zar?