“Religioni” è un termine antico quanto ambiguo: va dal potere dei sacerdoti egizi a
quello dei papi, dal culto dei morti al dio di turno, passando per l’interpretazione di
umani stati d’animo e angosce interiori. Il romanziere inglese Julian Barnes nel suo libro
“Nulla di cui aver paura” usa la frase di sentore dostoevskijana o nietzschesciana “Non
credo in Dio, ma mi manca!” che ben interpreta il conflitto tra le religioni, fredde istituzioni
con la loro ratio di potere sulle masse, e l’individuo nella sua solitudine esistenziale.
E’ un conflitto che già esprimeva Pascal dicendo “Il cuore ha le sue ragioni che la
ragione non conosce”. E non dimentichiamo Montaigne e Leopardi.
Le religioni saranno sempre ottuse aggregazioni di masse dominate da mantra ossessivamente
riciclati dai loro preti, fintantoché non si riproporranno invece come religiosità
con tutto il Mistero che la sottointende, patrimonio personalissimo di ciascun
individuo, con presa libera e autonoma sulla coscienza e sull’interiorità di ognuno E’
qui che la superiorità dell’Oriente è schiacciante, nonché congeniale ai turbamenti,
dubbi e negazioni dell’Occidente che, con la sua radice fondante nel pensiero speculativo,
logica escludente e “progresso” della tecnica nel produrre fini, continua a motivare
“non-felicità” e ansia ignorando la risorsa “spirituale” rappresentata dalla
osservazione del proprio panorama interiore e dal valore dell’esperienza in prima persona.
Il mondo occidentale è da tempo su una deriva nichilista, vista come Turgeniev nel suo
“Padri e figli”: “Un nichilista è un uomo che non si inchina davanti a nessuna autorità, che
non accetta nessun principio come fede, di qualunque rispetto questo principio sia circondato”.
Lo stesso grande Kant parlando di dio (Ragion pura) gli mette in bocca “Io esisto dall’eternità,
al di fuori di me non esiste nulla che non venga dalla mia volontà, ma donde son
sorto io, allora?”, e quindi Nietzsche con “dio è morto!” e “nichilismo vuol dire che i valori
supremi si svalutano”, a cominciare dal presunto dio. E’ il crepuscolo degli assoluti
intellettivi.
Questo è il pensiero dell’Occidente con i suoi concetti forieri di infelicità. E qui entra in
gioco l’Oriente con il suo messaggio di sostanziale ribaltamento di prospettiva, rivolgendo
la ricerca non al di fuori di noi ma dentro noi stessi: l’esistenza è intrisa di dukkha,
la sofferenza esistenziale che ci angoscia e di cui l’agnostico Buddha indicò
l’antidoto, invitando ad affrontarla non nelle sue presunte cause oggettive o nelle religioni,
ma partendo da noi stessi, da colui che soffre. E il dolore rappresenta l’innegabile,
indubitabile e onnipresente Assoluto nella realtà dell’Uomo. Le religioni con i loro
dèi, riti, miti e dogmi sono solo una arcaica pretestuosa e inefficiente banalità.