gli editoriali di paolo bancale

Miracoli di genere, una tara provinciale

Nel mondo odierno del linguaggio, sia quello colto che quello del giornalismo si fa un gran parlare della desinenza di sostantivi indicativi di professioni in funzione del genere ovvero sesso della persona in causa. E’ chiaro che la lenta formazione del linguaggio è forzatamente prerogativa di chi opera, decide, porta avanti discorsi di generale impostazione. Fino ad oggi la storia del genere umano ha sempre visto il genere maschile in indiscussa posizione di superiorità funzionale, di forza e di potere politico. Oggi si discute sul se dire ambasciatore o ambasciatrice, avvocato o avvocata, capitano o capitana, laddove manca un termine ad hoc come dottoressa, notaia, direttrice o postina.
Il problema, se problema è, non è di natura filologica o linguistica ma squisitamente sociologica, poiché esprime un campo semantico ove il maschile cede parte dei suoi atavici privilegi formatisi nella tradizione, nel quotidiano e nella indiscussa supremazia di genere. Lessi anni fa un libro in cui una nota sociologa e psicologa italiana additava questo abuso di suffissi maschili come una chiara chiave di lettura dello stato di pratica soggezione in cui la donna viene tenuta nella nostra società a dispetto di qualsiasi laurea, direzione o presidenza. Ingegnera, colonnella, comandanta, vescova, vanno declinate nel rispetto identificativo del genere. Il linguaggio non dipende dall’iniziativa di un singolo ma da una decantata e stagionata interpretazione della conscia o meno mentalità collettiva vigente, alla quale si può risalire così come dall’analisi di una vertebra fossile si è ricostruito il dinosauro.
Il “caso” è un insormontabile parametro della realtà e della logica; a parte i grandi sistemi come nel noto libro di Monod, il caso è il perno di discipline dominanti l’osservazione moderna: calcolo delle probabilità, stocastica, teoria dei giochi, logica giuridica, nessi di causalità, fisica quantistica, per non parlare del normale senso comune. Il caso esprime una cultura realistica e non provvidenziale, razionale e non woo-doo del “così vanno le cose”. Ed allora, per dire chi purtroppo siamo e il nostro livello di pensiero critico, può il maggiore quotidiano italiano, il Corriere della sera, titolare a grandi lettere “Salvi per pochi secondi, miracolati” (a proposito del viadotto collassato sull’auto di due carabinieri)?
Il miracolo è opera di qualcuno, espresso o sottinteso che sia; è per definizione un atto magico che rimanda al “mago” che ne è l’autore; è una dizione tribale che falsa la realtà e l’analisi dei fatti; è la deformazione cognitiva di una mentalità comunque bigotta, facilmente riscontrabile ogni giorno nella stampa e nel glossario professionale dei presentatori di notiziari televisivi nazionali.
Sherlock Holmes amava sostenere che i dettagli sono sempre rivelatori. Infatti…