Nel mondo odierno del linguaggio, sia quello colto che quello del giornalismo si fa
un gran parlare della desinenza di sostantivi indicativi di professioni in funzione
del genere ovvero sesso della persona in causa. E’ chiaro che la lenta formazione del
linguaggio è forzatamente prerogativa di chi opera, decide, porta avanti discorsi
di generale impostazione. Fino ad oggi la storia del genere umano ha sempre visto
il genere maschile in indiscussa posizione di superiorità funzionale, di forza e di potere
politico. Oggi si discute sul se dire ambasciatore o ambasciatrice, avvocato o avvocata,
capitano o capitana, laddove manca un termine ad hoc come dottoressa,
notaia, direttrice o postina.
Il problema, se problema è, non è di natura filologica o linguistica ma squisitamente
sociologica, poiché esprime un campo semantico ove il maschile cede parte dei suoi
atavici privilegi formatisi nella tradizione, nel quotidiano e nella indiscussa supremazia
di genere. Lessi anni fa un libro in cui una nota sociologa e psicologa italiana
additava questo abuso di suffissi maschili come una chiara chiave di lettura dello
stato di pratica soggezione in cui la donna viene tenuta nella nostra società a dispetto
di qualsiasi laurea, direzione o presidenza. Ingegnera, colonnella, comandanta,
vescova, vanno declinate nel rispetto identificativo del genere. Il linguaggio
non dipende dall’iniziativa di un singolo ma da una decantata e stagionata interpretazione
della conscia o meno mentalità collettiva vigente, alla quale si può risalire
così come dall’analisi di una vertebra fossile si è ricostruito il dinosauro.
Il “caso” è un insormontabile parametro della realtà e della logica; a parte i grandi
sistemi come nel noto libro di Monod, il caso è il perno di discipline dominanti l’osservazione
moderna: calcolo delle probabilità, stocastica, teoria dei giochi, logica
giuridica, nessi di causalità, fisica quantistica, per non parlare del normale senso comune.
Il caso esprime una cultura realistica e non provvidenziale, razionale e non
woo-doo del “così vanno le cose”. Ed allora, per dire chi purtroppo siamo e il nostro
livello di pensiero critico, può il maggiore quotidiano italiano, il Corriere della
sera, titolare a grandi lettere “Salvi per pochi secondi, miracolati” (a proposito del
viadotto collassato sull’auto di due carabinieri)?
Il miracolo è opera di qualcuno, espresso o sottinteso che sia; è per definizione un
atto magico che rimanda al “mago” che ne è l’autore; è una dizione tribale che falsa
la realtà e l’analisi dei fatti; è la deformazione cognitiva di una mentalità comunque
bigotta, facilmente riscontrabile ogni giorno nella stampa e nel glossario professionale
dei presentatori di notiziari televisivi nazionali.
Sherlock Holmes amava sostenere che i dettagli sono sempre rivelatori. Infatti…