Il grande teologo dell’Islam Ismail al-Ash’ari (873-935 d.C.) così definisce
il loro “unico dio”: «Dio non è né
corpo né persona, né sostanza, né accidente;
egli è al di là del tempo, non
può abitare in un luogo o in un essere,
non è oggetto di nessuno degli attributi
o delle qualificazioni naturali,
non è né condizionato né determinato,
non genera né è generato, è aldilà
della percezione sensibile: gli
occhi non lo vedono e lo sguardo non
lo coglie, l’immaginazione non lo
comprende ed egli è una cosa diversa
da tutte le altre cose, è onnisciente
e onnipotente ma la
sua onniscienza e la sua onnipotenza
non son paragonabili
a niente di creato.» La
tensione spirituale e mistica
in questa visione
dell’Altro confligge in
modo plateale con l’antropomorfismo
sia del vecchio
che del nuovo Testamento,
sia con Geova che ordina, gesticola,
parla, si infuria, sia con il Gesù che fa
altrettanto sotto lo sguardo della
folla, da lui attirata con una varietà
di atti magici, da resurrezioni a camminate
sull’acqua.
Quando si parla dei tre monoteismi
li si accomuna, ma ciò rappresenta
un’operazione velleitariamente superficiale,
poiché nell’ambito della
tensione nobile e ineffabile del dio
islamico, ignoto, aniconico, inesplorato,
abiografico, come abbiamo
let to, sarebbe assolutamente inconcepibile
inserire e ammettere la presenza
di un Paol o di Tars o che
sentenzia, (I Lettera ai Corinzi) una
visione materialistica, corpo rea, fisiologica,
anatomica, biologica e stori
ca d el suo dio: « Se Cristo non è
resuscitato vana è la nostra predicazione
e vana la nostra fede». Però, per
decenza intellettuale, nel mondo dei
credenti lo Spirito non dovrebbe mai
essere accomunabile, per esempio, a
cose co m e i l sangue di s. Genn aro,
vale a dire alla mediocrità sciamanica
e disarmantemente credula
del concetto di “miracolo”.
Se tutta una ipertrofica cost
ruzione teolog ica quale
quella cattolica, dovesse dipendere
da un atto magico,
come il sangue di s. Gennar
o o la re sur rezione del
Gesù mago, si può solo rest
are sconcertati da tanta
ingenuità.
Se il pensiero umano sente il bisogno
di spiritualità, e ben ven ga, per elevarsi
al di sopra del razionale piano
del “reale” e del c ontinge nt e, può
sempre attingere con dignità all’arte,
all’ascesi, alla meditazione, o all’apofatisrno
del bel testo riportato all’inizio
d i Is m ai l al-Ash’a ri, lasc ia ndoci
condivide re il filosofo M artin Heidegge
r q uando espri m e: «Di pe r sé
Dio non ha bisogno di al cuna teologia».